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La conferenza di Ulaanbaatar mette in risalto il ruolo dei singoli paesi nel processo di disarmo nucleare.

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A cura di Jamshed Baruah

NEW YORK | ULAANBAATAR (IDN) – Mentre approvava all’unanimità l’imposizione di sanzioni più dure nei confronti della Repubblica Democratica Popolare (RDP) di Corea, in risposta al sesto, e più potente, test nucleare effettuato dalla nazione agli inizi di settembre, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha richiesto la ripresa dei colloqui a sei (Six-Party Talks).

Sollecitando i negoziati multilaterali, che coinvolgono Cina, RDP di Corea, Giappone, Repubblica di Corea, Federazione Russa e Stati Uniti d’America, il Consiglio dei 15 ha espresso il proprio “impegno verso una soluzione pacifica, diplomatica e politica della situazione in atto nella penisola coreana.

Inoltre, l’argomento ha rappresentato il fulcro della “Conferenza Internazionale in materia di Disarmo Nucleare: aspetti globali e regionali”, tenutasi dal 31 agosto al 1 settembre a Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, paese confinante a sud con la Cina e a nord con la Federazione Russa, a 10.150 km di distanza.

La conferenza fu predisposta dall’organizzazione non governativa mongola, la “Blue Banner”, presieduta da Jargalsaikhan Enkhsaikhan, in precedenza rappresentante permanente del proprio paese alle Nazioni Unite. Essa ha segnato il 25° anniversario dell’iniziativa della Mongolia di trasformare il proprio territorio in una zona libera da armi nucleari (NWFZ) composta da un singolo stato.

Nel settembre del 1992, memore delle lezioni apprese in epoca di Guerra Fredda, parlando durante il dibattito generale all’Assemblea Generale dell’ONU, il presidente della Mongolia, Punsalmaagiin Ochirbat, dichiarò la nazione una NWFZ, auspicando che tale status fosse garantito a livello internazionale.

Lo scopo della proposta era dichiarare apertamente al mondo che la Mongolia non disponeva di arsenali nucleari sul proprio territorio e che, da quel momento in poi, sarebbe stata una nazione libera da quel tipo di armi. Così, contrariamente a quanto accadde durante la Guerra Fredda, nessuna nazione, vicina o lontana, avrebbe potuto sentirsi autorizzata a sistemare tali armi sul suo territorio e ciò avrebbe funzionato per acquisire garanzie di sicurezza dai cinque stati con armi nucleari (NWS), ovvero Cina, Federazione Russa (ex Unione Sovietica), Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, che sono anche i 5 membri permanenti (P5) del Consiglio di Sicurezza.

La spinta da parte della Mongolia per il riconoscimento internazionale del proprio status diede i suoi frutti nella Risoluzione 53/77 D, adottata dall’Assemblea Generale il 4 dicembre 1998, che accolse l’intento della Mongolia, ponendolo all’ordine del giorno nella riunione successiva.

Il 28 febbraio 2000, il rappresentante permanente mongolo nell’ONU, l’ambasciatore Enkhsaikhan, presentò una lettera che illustrava la legge di denuclearizzazione del suo paese, diffusa come A/55/56 S/2000/160 completando, di conseguenza, il riconoscimento internazionale dello status della Mongoli come paese libero da armi nucleari.

La conferenza di Ulaanbaatar approvò una dichiarazione, che definiva l’atto della costituzione di una NWFZ composta da un singolo stato un’importante misura per garantire la sicurezza nazionale della Mongolia. “Inoltre, si tratta di un’insolita misura internazionale per riempire una possibile area grigia nell’emergente mondo libero da armi nucleari”, notava la dichiarazione.

“Oggi, la Mongolia gode del riconoscimento e del supporto internazionali, grazie alla politica attiva di promozione del proprio status di area libera da armi nucleari, che rafforza la pace e la stabilità regionale attraverso mezzi politici e diplomatici, nonché tramite dialogo e negoziati costanti sulla base dell’uguaglianza di sovranità degli stati, del rispetto reciproco e del lavoro congiunto verso una causa comune”, aggiungeva la dichiarazione.

Difatti, nel 2012, i cinque stati con armi nucleari (P5), Cina, Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, che sono anche i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, presentarono una dichiarazione congiunta, impegnandosi a rispettare lo status della Mongolia e a non contribuire ad alcun atto che l’avrebbe violato.

“Quest’obbligo implica che nessuno dei P5 proverà a utilizzare il territorio della Mongolia per i propri sistemi di armi nucleari, inclusi quelli per comunicazione, sorveglianza, spionaggio, addestramento sulle armi e altri scopi”, ribadiva la dichiarazione.

I partecipanti, provenienti non solo dal nord-est asiatico, ma anche dagli Stati Uniti e dall’Europa, espressero il proprio sostegno alla politica della Mongolia, volta a rendere il proprio status di area libera da armi nucleari parte organica dell’architettura di sicurezza dell’Asia Orientale. Allo stesso modo, apprezzarono la prontezza a condividere la propria esperienza nella promozione dell’obiettivo di istituire una NWFZ in Asia settentrionale.

La conferenza era aperta al pubblico, cosa che incoraggiò anche gli studenti di scienze politiche dell’università giapponese di “Ritsumeikan” ad assistere, specialmente alla sessione che verteva sul ruolo dei singoli stati nel processo di disarmo nucleare. Poiché il Giappone sfrutta un “ombrello atomico” degli USA, rimase alla larga dai negoziati che, il 7 luglio, condussero all’adozione, da parte dell’ONU, del Trattato di proibizione delle armi nucleari.

La dichiarazione considerava: “La Mongolia ha dimostrato che, nell’ambito della promozione dell’obiettivo comune di un mondo libero da armi nucleari, gli sforzi di ciascuno stato sono importanti. Il suo esempio serve come fonte d’ispirazione agli altri stati, non solo per affrontare questioni d’interesse comune, tramite dialogo e approcci innovativi, ma anche per quegli stati che, a causa della loro ubicazione geografica o per ragioni politiche, non possono far parte delle tradizionali NWFS (regionali)”.

Enkhsaikhan affermò che la conferenza aveva lo scopo di “incentivare le strategie efficaci per muoversi congiuntamente verso l’obiettivo comune di conseguire un mondo libero da armi nucleari”.

Queste includevano l’adozione del trattato ONU sul bando delle armi nucleari, il suo possibile impatto sui negoziati di disarmo nucleare, che dovrebbero essere i passi successivi in senso logico e pratico, e il ruolo importante degli stati che non dispongono di armi nucleari. “C’è stato un interessante dibattito a proposito del possibile impatto del caso iraniano e di quello coreano sull’NPT, il Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari, e sul regime di non proliferazione in generale”, notava Enkhsaikhan.

A livello regionale, i partecipanti condividevano i propri punti di vista su come affrontare la questione delle armi atomiche nordcoreane. Molti di essi davano rilievo alla necessità di passare a negoziati diretti senza condizioni tra gli USA e la RDP di Corea, in vista di un disinnesco della tensione e di un’esclusione dell’uso, o della minaccia di utilizzo, della forza.

Consapevoli dei rapporti esistenti tra le parti che intervengono ai colloqui a sei, alcuni partecipanti proponevano che, ad Ulaanbaatar, poteva essere utile provare un nuovo format, con la partecipazione della Mongolia in qualità di piccolo stato con una politica estera attiva e l’esperienza nell’affrontare questioni di sicurezza nucleare. Fu suggerito anche che, date le condizioni attuali, in futuro la Mongolia potrebbe giocare un ruolo abbastanza positivo.

La dichiarazione adottata dalla conferenza sottolineava l’importanza del ruolo della Mongolia, indicando che, sebbene la Guerra Fredda fosse terminata da oltre due decenni, il valore della pace ricavatone è stato inferiore rispetto alle alte aspettative.

In base a quanto indicato dalla dichiarazione, la continua modernizzazione dei sistemi di armi nucleari ha messo in allarme la comunità internazionale. Il numero di stati che dispongono di armi nucleari è quasi raddoppiato. Lo sviluppo di nuove tipologie di armamenti atomiche ed armi convenzionali più avanzate annulla le differenze non solo tra queste due, ma anche tra le armi nucleari strategiche e non.

La possibilità di “regolare” le armi nucleari su rese variabili e, di conseguenza, abbassando la loro soglia di utilizzo, le rende più “utilizzabili”. “In tali circostanze, l’unica garanzia effettiva contro l’uso o la minaccia di utilizzo di armi nucleari (e per garantire “basta hibakusha”) è la completa eliminazione”, sottolineava la dichiarazione.

Essa aggiungeva: “L’esistenza di armi nucleari e la loro detonazione, che sia intenzionale, accidentale o meno, minaccia il genere umano, comprometterà gravemente la salute globale, la sicurezza alimentare e il clima mondiale. Gli stati che dispongono di armi nucleari hanno una responsabilità precisa e massima sull’eliminazione dei propri arsenali.

Tuttavia, nell’attesa che si provveda allo smantellamento, anche gli stati che non dispongono di arsenali nucleari hanno un ruolo importante da giocare, come dimostrato dall’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari a luglio. I partecipanti alla conferenza affermavano:

“L’istituzione di aree NWFZ costituisce una misura regionale efficace in funzione di un disarmo nucleare. Vietando le armi atomiche nelle regioni interessate, esse vanno oltre gli impegni relativi all’NPT per promuovere la pace e la stabilità, contribuendo, di conseguenza, a una sicurezza e stabilità regionali maggiori”, aggiungeva la dichiarazione della conferenza di Ulaanbaatar. [IDN-InDepthNews – 13 settembre 2017]

Foto: The Blue Banner

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